Tutti i più autorevoli studi scientifici dichiarano ormai da anni che la mente è plastica: il nostro cervello, infatti, si adatta e assume la forma di ciò che gli “somministriamo” più spesso.
I nostri pensieri creano delle vere e proprie scene, e queste diventano il nostro personale modo di percepirci nella vita.
Non possiamo spegnere la mente, né fermare i pensieri, ma possiamo vederli passare senza identificarci con essi, come quando dal bordo della strada vediamo le auto passare senza salirci. E per identificazione si intende non esserne totalmente assorbiti e quindi imprigionati.
Quindi non possiamo spegnere totalmente la mente, ma possiamo imparare a non essere identificati con i nostri pensieri.
Noi siamo ciò che ci raccontiamo
Grazie all’allenamento quotidiano impariamo a concentrarci e a cercare essere padroni dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, provando a orientarli verso emozioni positive e costruttive.
Tutto questo diventa concretamente possibile grazie al consapevole allontanarsi dalle emozioni negative e distruttive; il loro ampio ventaglio ci sfugge molto più di quanto pensiamo perché, abituati a questo stato, lo consideriamo “normale”.
Siamo in grado di riconoscere le nostre emozioni quando queste sono “forti”, sia in positivo che in negativo, e non ci accorgiamo che siamo pervasi costantemente da emozioni “non viste” che ci attraversano: apatia, noia, sottile malinconia, l’essere leggermente infastiditi o insoddisfatti.
Prenderne coscienza, attraverso un’amorevole auto-osservazione, ci consente di prendere le distanze da pensieri ed emozioni di scoraggiamento, frustrazione e recriminazione.
La nostra mente prende la via che noi gli chiediamo di percorrere
Allenare la nostra mente, per divenirne più padroni e consapevoli e quindi più capaci di orientare le nostre emozioni, è una capacità che abbiamo dentro di noi: se allenata nella direzione sopra descritta genera una vita emotivamente più sana e gratificante.
Per molti di noi la serenità è una visione utopistica: siamo infatti abituati a pensare alla serenità come ad un’emozione di breve durata, e collegata a particolari momenti; qualcosa che viene sempre dopo la realizzazione di qualcos’altro.
Infatti, le nostre frasi tipiche sono: sarò felice quando mi sarò laureato, mi sarò sposato, avrò fatto carriera, avrò trovato la casa o il partner dei miei sogni, o addirittura quando andrò in pensione, praticamente mai una gioia.
“Prima il dovere e poi il piacere”
Questo è il mantra della cultura con cui abbiamo disegnato le nostre vite e costruito l’attuale società. E con quali risultati?
In Italia si stima che più di 11 milioni di persone facciano uso psicofarmaci, e tra i giovani aumentano le dipendenze da alcool e droghe. Quasi tutti soffriamo di stress.
Ma in questo scenario c’è una novità: oggi sappiamo da cosa dipendono questi risultati anche drammatici e come possiamo invertire la rotta.
Viviamo in un’epoca incredibile per il progresso della conoscenza, in cui le neuroscienze ci hanno svelato finalmente “come funzioniamo” e ci hanno dimostrato che la serenità e la felicità sono un’abilità che, se allenata, ci consente di rifiorire come individui e come sistemi.
Sappiamo che i nostri comportamenti contano e che le esperienze che facciamo tutti i giorni modificano costantemente il nostro cervello.
Se, dunque, scegliamo di focalizzarci su esperienze di tipo positivo o piacevole, ci nutriamo di fiducia, autostima, senso di sicurezza e protezione.
Tutte condizioni che, oltre a farci star bene, rappresentano la base per realizzare i nostri obiettivi e successi laddove lo desideriamo. Prima di capire come, è però d’obbligo uno sguardo su come funzioniamo.
Concentrarsi su pericoli e minacce per sopravvivere
L’evoluzione ci ha lasciato in eredità una maggior propensione a captare nell’ ambiente esterno pericoli, minacce, e in sostanza la negatività, anziché godere dei vantaggi della positività.
D’altro canto, per sopravvivere e tramandare i loro geni, i nostri antenati hanno dovuto imparare a difendersi da pericoli e minacce di ogni genere, dai predatori, dalla fame, e per quest’ultima dalle barbarie da parte dei loro simili.
Per sopravvivere, quindi, le loro menti dovevano concentrarsi esclusivamente su ogni segnale di minaccia: la costante ripetizione di questo iter, ha “cablato” le loro menti, generando i “cavi” tutt’ora presenti nelle nostre menti. Un segnale positivo, come risultato ad esempio di una pausa, non era assolutamente interessante ai fini della sopravvivenza, e dunque la mente non lo “fissava”.
Questo meccanismo fisiologico si è quindi sviluppato nel corso dell’evoluzione per aiutarci a sopravvivere a qualsiasi cosa potesse minacciare la nostra vita. Quando ci troviamo di fronte ad una situazione stressante la nostra corteccia cerebrale invia al sistema nervoso simpatico il messaggio di preparare il corpo all’azione immediata.
Facciamo un semplice esempio: siamo a letto e veniamo svegliati da un rumore. Ci chiediamo se possa essere un ladro, ed immediatamente entriamo in uno stato di allerta: ci sediamo, tendiamo le orecchie, il cuore batte molto più rapidamente, i polmoni si dilatano per prendere più ossigeno e ci prepariamo a reagire. Ad un tratto il nostro compagno grida “Scusa, mi è caduto un piatto”. Facciamo un respiro profondo e ci tranquillizziamo.
In un lasso tempo molto breve, ci rendiamo conto che c’è stato un errore nella nostra elaborazione dell’evento e il nostro corpo ritorna rapidamente in equilibrio.
Reazione “attacco-fuga”
Molti di noi lottano costantemente contro dei “pericoli invisibili”, percependo ovunque minacce e attivando continuamente la reazione di “attacco-fuga”, anche quando non vi è alcun pericolo reale.
Anche se oggi non siamo più nelle caverne alle prese con ogni sorta di minaccia, il nostro cervello fa scattare lo stesso meccanismo di allerta ogni volta che, ad esempio qualcuno ci “offende, che discutiamo con i nostri cari o con i colleghi, ma anche che ci troviamo leggermente rallentati nel traffico.
In tutte queste situazioni, oggi come allora, il nostro cervello fa scattare una reazione istintiva e primordiale di “attacco-fuga”, chiamata appunto “reazione da stress”.
Come se non bastasse questa eredità biologica, viviamo costantemente immersi in un flusso di informazioni negative provenienti da TV, social network e media vari, che continuano ad alimentare le nostre paure più profonde. Ed è per questo sovraccarico biologico e culturale che facciamo fatica a superare gli ostacoli nel nostro quotidiano e nella nostra vita.
Ma oggi sappiamo che la serenità è un’abilità, e le abilità “si imparano” e vanno allenate. Sappiamo che possiamo farlo, perché la scienza ha dimostrato che i geni non sono il nostro destino e che il nostro cervello è plastico, cioè cambia e apprende continuamente.
Grazie per l’attenzione
Emanuela